Lettera sulla Felicità (a Meneceo)

Nella mia vita ho sempre detto, scherzando, di non avere un cuore. Ha sempre fatto parte del mio personaggio, della parte che mi sono sempre divertito a recitare, maschere pirandelliane e tutto il resto. Ironia della sorte, solo da poco mi sono dovuto scontrare con la realtà, quella di avercelo un cuore, e che purtroppo non è tanto sano.

In fondo saperlo mi ha dato da preoccuparmi davvero solo per pochi minuti, qualche ora al massimo. Se si guarda tutto da un altro punto di vista, non è davvero una notizia così tremenda. Sono nato, e già questo è di per se’ una casualità, e sono nato nella parte del globo più fortunata, senza dover mai davvero lottare per sopravvivere, e senza problemi fisici che mi abbiano dato davvero problemi. Ho vinto, ho perso, ho gioito e sofferto. Ho la soddisfazione di poter dire di non aver potuto essere più di ciò che sono diventato in questo momento.

Ho visto persone essere colpite da tragedie davvero molto più serie, malattie molto più gravose e vite molto più sfortunate. Il fatto di sapere di potermene andare improvvisamente cambia davvero qualcosa? In fondo ho solo una percentuale più sfavorevole rispetto agli altri, ma anche per loro è la stessa cosa. Basta un colpo di sonno al volante, una distrazione mentre si attraversa, la sfortuna di vivere in un edificio instabile. E magari sarà così pure per me, solo si somma un altro fattore che io non posso, e non voglio, controllare.

Ed è bello non dover pianificare, pensare di avere una data di scadenza. Mi sono sempre voluto sentire libero, e questo non cambierà mai. Anzi, è come se avessi il respiro più profondo, e il sangue più bollente, le gambe più infaticabili. L’ho detto, nella vita ho vinto ed ho perso. Giocherò la mia partita fino alla fine.

GIAMBO PARTE III

Insomma è notte e ho la pancia a pezzi per una pizza surgelata della Lidl, comprata dopo: una fila per entrare a distanza di un metro, correttamente rispettata, da vecchie che sanno benissimo di essere a rischio contagio di tipoqualsiasicosa; una distanza all’interno di un metro, correttamente rispettata, da gente che si tiene la mascherina sotto il naso e tossisce sui pomodori; una distanza alla cassa di un metro, correttamente rispettata, da elettori di Salvini che hanno ancora 17 euro in spicci direttamente nelle tasche. Che io ancora mi chiedo come facciate, senza sembrare 2Pac all’apice della carriera prima di digievolvere in un groviera. Però ok, ho metabolizzato tutto. Ho a che fare con degli stronzi così spesso che figuriamoci, la quarantena per me è stata un 25 Aprile lungo 3 mesi. Forse ho la pancia a pezzi anche per le 5 birre thailandesi che mi sono scolato dopo la birra surgelata per metabolizzare meglio. La gente intendo, non la pizza.

Fatto sta che saranno le 5 e io ancora mi giro e mi rigiro nel letto, sembro un vecchio LP malconcio in uno di quei jukebox malconci che si vedono nei film americani, quelli che si inceppano e poi ripartono dopo un pugno a caso, e penso che magari davvero mi ci vuole davvero un bel pugno per riassestarmi e dormire serenamente. Così sto per chiamare la sede locale di Casapound e dire che però anche Che Guevara aveva fatto cose buone, in modo tale che mi mandano 5 adepti a casa e risolvo il problema dell’insonnia, quando apro gli occhi e intravedo nel buio, dall’altra parte della stanza, una figura totalmente ammantata di nero.

Gli chiedo chi sia. Uno spirito, mi risponde. No grazie, per stasera ho già dato, ribatto. Lui si toglie il cappuccio rivelando un volto dai lineamenti gentili, i capelli composti alla Clark Kent e lo stesso fisico statuario. Non posso avere dubbi su chi sia.

-Giuseppe Conte! Cosa ci fai qui, non dovresti essere a fare nomi e cognomi come i pentiti di mafia?

-Stupido, ho assunto questa forma solo per l’occasione. Sai che giorno è oggi?

-Certo, è il 12 Aprile.

-Esatto. E’ Pasqua. E, a parte farti notare che hai trovato- per discutibili necessità narrative- un supermercato aperto a Pasqua, domani è Pasquetta. Ed io sono lo spirito della Pasquetta passata, e sono qui per farti riflettere su quanto la tua vita sia cambiata.

-Eh, qualcosa me lo diceva quel giorno che non dovevo passare a Tim.

Così schiocca le dita e ci ritroviamo in un campo di girasoli, nell’aria calda del sud e nessuna nuvola all’orizzonte. Le uniche due sagome che si distinguono sono quelle di due ragazzi, vestiti con delle canotte e che parlano sedute tenendosi per mano, con dei cmq e dei xk che rendono la conversazione indecifrabile.

-A cosa pensi?- mi chiede il fantasma della Pasquetta passata.

-Eh che ci vestivamo proprio di merda, per non parlare di quella piaga degli SMS che ha mietuto vittime tra i compiti di grammatica. E poi perché quest’anno fa più freddo?

-Sciocco- tuona il fantasma- intendo a cosa ti fa pensare emotivamente rivederti lì.

-Ah. Eh, si viveva meglio. Ero felice, potevo uscire, criticavo uno stato così per partito perso eppure avevo tutte le libertà di questo mondo. Ero giovane. In questo momento l’amore della mia vita mi stava dicendo che non ci saremmo visti per un’estate perché si sarebbe dovuta fare un villaggio vacanze, e io la rassicuravo che questo non avrebbe cambiato nulla tra di noi.

-Ed è stato così?

-Eh no, effettivamente si è FATTA tutto un villaggio vacanze, poi mi ha mollato.

-Ah..ehm… beh scusa ma ho lasciato la tartarre nel forno, ti lascio al mio collega.

Svanisce in una nuvola nera, e nello stesso punto ricompare la stessa figura di Giuseppe Conte. Immagino perché lui non cambi mai fisicamente da quando aveva 2 anni. Mi porta nella stessa stanza in cui ero la sera, a ruttare a fatica davanti alle dirette Facebook di Matteo Salvini mentre ingurgitavo gli alimenti di cui sopra. Lo Spirito sta per aprire bocca, ma poi cambia idea, mi guarda scuotendo la testa con le sopracciglia aggottate e scompare nella stessa nuvola. Boh, forse è allergico ai peperoni. Nello stesso istante ricompare la stessa figura, solo con un paio di rughe in più e una spilla in oro massiccio che recita “Imperatore dell’Universo Conosciuto”.

-Sono lo Spirito della Pasquetta futura- tuona con una tonalità ben più profonda dei suoi predecessori- e sto per farti vedere cosa ti attende negli anni a venire.

Pregando nella mia testa di ritrovarmi nel mogano con i miriapodi a farmi effusioni, mi ritrovo in un campo di girasoli. L’aria è calda. Nessuna nuvola all’orizzonte. Riconosco a malapena il me del futuro, ormai senza capelli e con una sindrome metabolica inarginabile. Lei è bellissima, i capelli corvini sciolti sulle spalle, un ciuffo a coprire metà viso slanciato e impegnato in un sorriso enigmatico, con le gote imperlate di lentiggini che la rendono il ritratto dell’innocenza ben oltre qualsiasi fantasia da pittore si possa immaginare.

-Sono io? E lei è la donna della mia vita? Ma che anno è?- chiedo senza fiato.

-AHAHAHAHAHAHAHAH no macché, lei è in realtà virtuale e tu sei a 500 metri da casa solo perché hai un’autocertificazione falsa, ma secondo te potevi mai realizzare qualcosa del genere?- risponde a stento lo spirito, rannicchiandosi per le risate senza fiato.

E poi niente, mi sono svegliato e ho capito che la mia vita era, è e sarà sempre una merda. Però se proprio vogliamo trovarci una morale universale, beh è che anche la vostra era, è e lo sarà. O meglio, ha avuto alti e bassi. Siamo caduti, ci siamo rialzati. Andremo avanti. Passeremo Pasquette a casa e all’aperto, magari per scelta, magari per una pandemia (come non se ne ricordano dai tempi della Poliomelite e che potremo ingigantire a piacimento nei racconti alle generazioni future), magari per imprevisti come una guerra termonucleare. La morale in ogni caso è che siamo umani. E per quante differenze ci siano tra noi, nel profondo siamo uguali. Quindi non fate il mio stesso errore mischiando pizza coi peperoni e 5 birre per cena.

GIAMBO PARTE II

Ho iniziato ad odiare il genere umano più o meno quando ho iniziato ad odiare dio. E non intendo un dio in particolare, per carità, ho sempre odiato proprio l’idea della divinità in generale. Credo di odiare l’esistenza umana proprio per colpa del dio che l’uomo ha voluto ideare, il suo creatore “a sua immagine e somiglianza”.

Cioè, andiamo, un essere infinito, in un momento di noia, ha voluto crearti e saresti uscito fuori tu? Avremmo tanto da discutere, un Papa ed io. Innanzitutto se siamo a sua immagine e somiglianza vuol dire che ha bisogno di cacare, e se non può proprio essere infinito ma perlomeno si estenderà pure per qualche decina di chilometri, se noi col nostro intestino di individui che arrivano in media massimo a due metri produciamo quello che produciamo, beh, non oso immaginare. E no, decisamente non voglio sapere a questo punto cosa siano la pioggia e la neve.

E la storia del Paradiso? Come la guardi guardi davvero non ha senso. Immagino quello cristiano sopra le nuvole come una spiaggia. Bellissima eh, tipo il Salento senza bambini e famiglie che si accollano al tuo posto con sdraio e tavoli su cui consumano parmigiane e pasta al forno. E animatori, perché ovviamente quelli vanno di diritto nel girone dantesco di loro competenza. Ma cosa dovrei fare lì per un’eternità? Un tipo iperattivo come me ha bisogno di garanzie, li avete due racchettoni o un baretto con una birrozza ghiacciata? Offre quasi di più la concorrenza, se non fosse che 72 vergini manco me le godrei. Cioè sì, se ci arrivassi vergine pure io sì, ma almeno 50 ragazze in vita tua puoi farcela a portartele a letto con una vita dissoluta, e non c’è bisogno neanche di farti esplodere. E poi dai, che palle le vergini, che gusto ci sarebbe a rifare 72 volte sesso per la prima volta con una, la prima volta non piace mai a nessuno.

E soprattutto, perché un dio avrebbe voluto far funzionare i nostri corpi al contrario? Dovremmo gattonare, e camminare stentatamente, per gran parte della nostra vita, per poterci sorprendere di quanto possiamo esplorare questo mondo. E solo infine correre, perché tanto abbiamo già percorso tutto, e non dobbiamo sorprenderci più dei panorami e dei tragitti. Dobbiamo solo arrivare alla meta il più presto possibile, anche se salteremo ogni tappa, ogni paesaggio, ogni dettaglio che ci riporterebbe alla mente qualcosa. Perché i nostri vecchi occhi non lo colgono più, il nostro cuore indurito neppure più ci fa caso, la nostra mente è distratta dal quotidiano che è l’unica cosa per cui conti davvero vivere.

Sono ateo perché un vero dio ci darebbe l’opportunità di goderci i piccoli momenti quando ancora possiamo farlo, quando ancora siamo ingenui, e solo alla fine del viaggio possiamo dimenticarcene.

APOKOLOKYNTOSIS PARTE III

Egidio, il mio vicino, è nato nel 1934. Si tratta di una veneranda età per un uomo, e per uno della mia generazione è davvero impensabile che abbia vissuto una Guerra Mondiale. Impensabile nel vero senso del termine, perché io non saprei davvero come mi sarei comportato, o ancora meglio se sarei esistito in partenza, data la mia etnia, nel bel mezzo di una Guerra Mondiale. Già, perché la scelta era pressapoco partire per la guerra e patire la fame, oppure restare in casa e patire la fame. Egidio, essendo giovane, questa scelta non l’ha mai dovuta fare. Egidio ha visto i suoi fratelli maggiori partire per quella guerra e non fare mai più ritorno, eppure non spenderebbe mai neppure una lacrima per loro. In fondo non li ha mai conosciuti mai per davvero quei suoi fratelli, anche se le loro bare venivano etichettate come bare di veri patrioti e vedeva le lacrime di sua madre tranciare le sue gote durante i loro funerali. Egidio ha vissuto una vita di pace. La sua unica passione è stata il biliardino, o, come la dice lunga sulla cultura dell’epoca, il “calciobalilla”. Già, perché Egidio, nonostante i suoi fratelli fossero andati a morire per un’ideologia le cui idee deliranti non conosceva davvero, è sempre stato Fascista. Ed il motivo principale è che Egidio ha potuto, con i disastrosi fondi che rimanevano all’Italia nel Secondo Dopoguerra, frequentare solo la scuola elementare prima di essere inesorabilmente consegnato ad una vita di duro lavoro in fabbrica. Ha visto solo del nero Egidio, per tutta la sua vita, e guardando fuori dai finestroni ammuffiti ha sempre pensato alla sua famiglia che lo aspettava a casa come unico, misero, stimolo per timbrare il cartellino alla fine della giornata.

Poi ci sei tu. Sei nato nel 2004. Sei nato quando i computer erano una tecnologia affermata, quasi superata dopo l’avvento dei Pad. Sei nato nell’era dei genitori distratti, pessimisti, insofferenti per i loro problemi quotidiani, tanto da essere disposti a comprarti un iPhone a 9 anni pur di non sentirti più lamentarti di come tu non possa usare quando ti pare il telefono di mamma con i suoi cento colori. Sei arrivato alle scuole superiori per inerzia, certo, ma lì le droghe erano ampiamente disponibili quando le chiedevi, e potevi farne uso quando volevi, bastava avere un minimo di paura delle pattuglie di paese che non ti avrebbero mai perquisito come in una dittatura. Ma sai cosa, le scuole pubbliche non facevano per te, quindi hai deciso di frequentare una scuola privata che per una mazzetta ti faceva andare bene che fosse un tuo momentaneo stato di confusione mentale la tua risposta che Dante avesse scritto i Promessi Sposi. Tanto, al modico costo di una macchina l’anno, avresti conseguito il diploma e potuto per legge “lavorare” nell’impresa di famiglia, fare dei soldi e sposarti a 25 anni, e tutto questo non perché tu l’avessi scelto.

Benvenuto nella Democrazia che ti permette di criticare la vita di un fascista.

AMORES PARTE III

Quando il cuore tornò a casa, la mente leggeva le notizie sul giornale in veranda, riparato con attenzione per non essere scottato dai raggi solari. Stava per salutarlo quando notò il suo aspetto. Aveva i capelli arruffati, gli occhi infossati contornati da occhiaie palesi, i vestiti slargati e sgualciti che indossava da più di tre giorni. Così semplicemente lo squadrò con un ghigno sarcastico sul volto.

-Lo so cosa stai pensando- ribatté il cuore -quindi non dire nulla.

-Migliorerebbe la situazione? Trovo che siano sempre i nondetti ad ingigantire le cose, come se piantassi un semino e a distanza di tempo vedessi di botto una pianta alta quanto le nuvole nel tuo giardino.

Il cuore lo assecondò. Si sedette per terra e si passò una mano sul volto. -Sai, è a proposito di…

-Era ovvio fosse a proposito di lei. Dimmi quale castello di carta sei riuscito a costruire stavolta.

-Sai, non mi sembra più la stessa.

-Dici? L’ultima volta che l’ho vista aveva sempre una bocca, due occhi, un naso, due bellissime…

-Ho capito.- disse il cuore stizzito, facendo un arco plateale con il braccio e alzandosi per andarsene.

-Dai ti stavo solo prendendo in giro! Su, fammi divertire.

-Ecco, non sembra più la persona che conoscevo. E lei sembra improvvisamente non conoscere me. Quando sono stato licenziato mi aspettavo che fosse, beh sai, lei. Un tempo mi avrebbe preso per mano e portato a correre per i prati, o scalare alberi, o lanciare lattine sulle rotaie. Invece no, ha ordinato un tavolo per cena. Un tavolo per cena, ti rendi conto? Non mi ha mai chiesto di portarla a cena, e i fattorini di JustEat avranno ormai i soldi per pagare le rette universitarie ai loro nipoti grazie alle nostre mance. E quando sono preso dalle mie preoccupazioni mi chiede cosa io abbia. Un tempo mi avrebbe semplicemente fissato negli occhi, scompigliato i capelli e fatto una smorfia buffa per tirarmi su di morale. Ora dobbiamo parlarne altrimenti è lei ad ignorarmi per ore. E improvvisamente deve essere diventata testimonial dell’Amuchina altrimenti non so spiegarmi tutte le sue menate sull’ordine. Un tempo era divertita da come ammassassi le mie cose sul mio lato del letto per giorni, ora invece le lancia a caso nell’armadio. Possibile che io mi sia sbagliato così tanto su di lei?

La mente fece un sorso profondo dal frullato light che aveva poggiato sul tavolo e si tolse i pesanti occhiali da lettura. -Non ho mai sentito una persona sbagliarsi così tanto. Non è lei ad essere cambiata, ma innanzitutto tu. Ricordi quando da piccoli trovammo quel cucciolo di cane? Era una peste che correva per la casa e sporcava e rompeva tutto per ogni stanza in cui passava. Poi abbiamo iniziato a punirlo, legarlo, chiuderlo. E alla fine è diventato il cane più docile del mondo. Da allora non ci è mai più piaciuto, e la sua unica colpa è stata diventare cio’ che noi abbiamo voluto diventasse. E’ così che funzionano anche le persone sai? All’inizio ti sei innamorato del suo essere ribelle e libera, e lei del tuo essere caotico e musone. Ora tu dai per scontato che lei sia rimasta quel tuo ideale statico che era solo una parte dell’intero mosaico, solo cio’ che era più facile vedere. Lei non voleva neppure convivere, convinta che come al solito sarebbe finita male, eppure ha saputo accettare anche tutti i tuoi lati peggiori. Ed è a lei che non è mai piaciuto parlare dei suoi sentimenti, di cio’ che le passa per la testa, eppure stava provando ad essere indagatoria come te. E a cena non ci è mai voluta andare per non dipendere da te dato che finora non aveva un lavoro. Una tempesta è diventata una pioggia estiva pur di stare con te. Magari non è felice di essere scesa a certi compromessi, ma l’ha fatto. Ed ora tu rivorresti solo quella tempesta, ma in realtà non vuoi davvero lei, rivuoi indietro gli occhi che prima vedevano in lei quella tempesta. La vera domanda è: vuoi lei che sai essere continuo mutamento o rinuncerai a cio’ che sei?

Il cuore non era riuscito ad interrompere quell’analisi spietata. Prese in mano il cellulare e lo sbloccò. Fissò in silenzio la mente per qualche secondo. -Sai che ti odio? Alla fine spettano solo a me queste decisioni, vero?

Epistulae morales ad Lucilium parte II

Ti chiedo scusa. Scusa se il mondo è così, se esistono davvero situazioni come la tua. Scusa se la vita può voltare così tanto le spalle ad una persona, e ignorarlo, e dargli solo le vie di uscita sbagliate per fuggire dalla propria esistenza. In fondo è come nei film, solo che non avviene l’incontro con la principessa a dare un senso alla tua vita, né con l’insegnante che diventa per te un padre trasmettendoti saggezza e indicandoti il confine tra giusto e sbagliato.

No, per te è stato come un film solo l’inizio, e purtroppo anche la fine. Sei nato in un piccolo paese soffocante, aggressivo e incapace di farti sognare in grande. Non hai avuto un padre presente, e chissà se forse anche lui prima di te ha semplicemente percorso la tua stessa strada, magari anche lui ha intrapreso bivi diversi ma partendo sempre dallo stesso inizio, e giungendo alla stessa fine. Tua madre non è riuscita a salvarti, magari con mille altri pensieri per la testa, probabilmente per sopravvivere come una leonessa in un mondo di cacciatori, provando a proteggere i suoi cuccioli per quanto possibile.

Non eri nato in un mondo fatto per te. Io lo so perché ho visto nei tuoi occhi i miei, ho visto lo sguardo triste di una persona buona che ha trovato solo dei muri davanti a sé. E per questo lo sguardo era anche triste, e buono e triste non è mai una bella accoppiata. Avrai fatto del tuo meglio per adattarti, per lottare, per spiccare. Ma presto o tardi rischiamo tutti di essere risucchiati da quel demone. Quel demone che ti dice che non sei abbastanza, che non riesci ad ottenere di più, che tu in quel posto non vorresti stare eppure non puoi proprio uscirne.

Ti chiedo scusa se io ero distante, a provare a rattoppare le vele della barca di fortuna con cui provo a non fare più ritorno. Ti chiedo scusa se altri erano distanti, sulla carta geografica o con i pensieri, o non erano buoni come te anche se tu pensavi altrimenti. Ti chiedo scusa se la tua unica àncora è stata la droga, maledetta quanto seducente. Immagino che per una persona intelligente come te non sia mai stato uno scherzo, un gioco. No, semplicemente sapevi che fosse una falsa scappatoia ma non ne vedevi altre intorno a te. E alla fine “anche il tuo polso cedette quando venne lei”, parafrasando una canzone.

Nessun sonno però dura per sempre, quindi alla fine ti sei svegliato. Immagino che tu ti sia guardato allo specchio, e abbia visto lo stesso sguardo che io avevo visto, ma a te abbia creato solo fastidio, repulsione e imbarazzo. Hai scelto di arrenderti, di non avere più speranze per cui lottare, ambizioni a cui aspirare, persone a cui rimanere vicino. Hai preso l’uscita di emergenza da questo cinema di basso livello. Sì, un cinema, in cui gli spettatori sono subito stati pronti a giudicare, ricordarsi improvvisamente che eri seduto lì accanto, e alla fine etichettare come “l’ennesimo sventurato nel giro sbagliato”.

Ti chiedo scusa anche per loro, che non sapevano o hanno fatto finta di non sapere e sono rimasti a guardare. E ti ringrazio per avermi ricordato quanto sia tremenda e anche bellissima la vita. Passerò a salutarti amico mio, spero che tu abbia finalmente trovato la pace che cercavi.

De Brevitate Vitae

A volte mi sento quasi una scatola di momenti. Fermi, freddi, indelebili, ammassati gli uni sugli altri. E in una scatola anni ed anni si sovrappongono, e fanno da filtro al mio modo di pormi in situazioni nuove ed attuali. Anche senza volerlo prenderò l’una o l’altra scelta perché nel mio subconscio sono segnato da attimi che mi sussurrano cosa fare anche se non li riporto alla mente di mia volontà. E se lo faccio, se apro la scatola, la distanza di tempo sembra indefinita, quasi nulla.

Ricordo le scale della mia prima casa, alte e pericolose. Ero un bimbo goffo e iperattivo, non che sia cambiato granché tutt’ora. Il mio mondo è fatto di fantasie ed avventure. Quindi ricordo bene quando le ho imboccate di testa quelle scale. Ricordo il sapore metallico del sangue in bocca, mia madre terrorizzata, ricordo persino mio padre, è uno dei pochi ricordi simbolici che ho di lui. Credo di non aver pianto, cosa strana per me dato che piangevo in continuazione, almeno prima di finire le lacrime per il dolore qualche anno fa. Non riuscivo a far altro che guardarmi intorno e chiedermi cosa stesse succedendo. Affascinante come non si possa spiegare ad un bambino che va tutto bene, che è solamente sotto shock.

Ricordo il mio primo giorno di elementari. Nuovo paese e tutti che si conoscevano a parte me. Come nei film americani in cui arriva il tizio del college dal passato tenebroso, solo che io ero solo un bambino sfigato ed emarginato. Il primo con cui ho parlato è diventato il mio migliore amico per anni. Sveglio, spigliato, un po’ tutto quello che io non ero. Poi si è fatto qualche mese in un carcere minorile, e da allora non riesco ad impostare una conversazione con lui senza l’istinto irrefrenabile di prenderlo a ceffoni. Sì, ho fatto tante scelte sbagliate in vita mia, anche per quanto riguarda le persone.

Ricordo anche l’ambientino di fine medie. Provo a rimuoverlo almeno, eppure è sempre piantato in testa. Droghe e bulli. Le droghe mi hanno insegnato che è più bello sconfiggere da sé i propri fantasmi, i bulli mi hanno insegnato che per sconfiggere i tuoi fantasmi devi imparare a difenderti in ogni modo. Per me il modo non è stato cambiare il mio aspetto, perché non c’era proprio modo di migliorare quel disastro. Ma ho imparato ad abbassarmi sul loro piano se necessario, verbalmente e fisicamente. Al costo di prenderne tante, servono anche quelle. Sembrerà strano ma li vedo ancora quei bulletti, quelli rimasti a piede libero almeno, e mi salutano con calore sincero. Questo mi ha insegnato che il bullismo non è sempre pura cattiveria, quanto noncuranza delle conseguenze delle proprie azioni sugli altri.

Ricordo l’Estate 2008. Con la E maiuscola per forza di cose. Ricordo i giri in Vespa, quando il mondo sembrava ai nostri piedi, e il mondo troppo bello per aver bisogno di indossare un casco. Le prime birre, i primi affacci al mondo degli adulti, che sembrava così strano e lontano. Ricordo la prima cotta estiva, e ultima peraltro. Finita presto, ma di certo non si contavano i mesi a quei tempi. Ho ancora la sua foto nel portafogli. Me la diede suo padre, quando morì in un incidente stradale 4 anni dopo. Ero già tremendamente grande, eppure quella notizia fu comunque tremendamente dolorosa. E anche se non ho mai creduto a queste cose, né credo nessuno lo capirebbe mai, le ho fatto una promessa che continuo a mantenere tuttora, quasi un modo per tenerla vicina a me e dirle “devi essere fiera di me, non ti ho ancora delusa”.

Ricordo la mia storia d’amore più travagliata. Vicina di casa, amici da anni, cosa mai potrebbe andare storto? Beh io ad esempio. Vivo di cambiamenti, che riguardano il mio stile di vita, i luoghi dove sono, e quindi per forza di cose anche le persone. Ho imparato che ci sono cose che vanno come devono andare, e la colpa può anche essere di nulla e nessuno. Forse appunto proprio del tempo, che aggiunge responsabilità e scelte sulle tue spalle, e non puoi sempre gestire tutto. L’importante è accettarlo e guardare avanti.

Vedo questo nella scatola, e mille altri momenti che non starebbero su di un foglio, sarebbero solo istantanee difficili da descrivere e spiegare. Se ne aggiungono così tante giorno dopo giorno, anno dopo anno. Ed è forse questo il senso della vita, accumulare cose lì dentro per averle sempre accanto a te, e ogni tanto aprire la scatola e ritrovarci anche cose che pensavi di aver perso, e invece fanno ancora parte di te. E non si può dire che non sia straordinario.