Lettera sulla Felicità (a Meneceo)

Nella mia vita ho sempre detto, scherzando, di non avere un cuore. Ha sempre fatto parte del mio personaggio, della parte che mi sono sempre divertito a recitare, maschere pirandelliane e tutto il resto. Ironia della sorte, solo da poco mi sono dovuto scontrare con la realtà, quella di avercelo un cuore, e che purtroppo non è tanto sano.

In fondo saperlo mi ha dato da preoccuparmi davvero solo per pochi minuti, qualche ora al massimo. Se si guarda tutto da un altro punto di vista, non è davvero una notizia così tremenda. Sono nato, e già questo è di per se’ una casualità, e sono nato nella parte del globo più fortunata, senza dover mai davvero lottare per sopravvivere, e senza problemi fisici che mi abbiano dato davvero problemi. Ho vinto, ho perso, ho gioito e sofferto. Ho la soddisfazione di poter dire di non aver potuto essere più di ciò che sono diventato in questo momento.

Ho visto persone essere colpite da tragedie davvero molto più serie, malattie molto più gravose e vite molto più sfortunate. Il fatto di sapere di potermene andare improvvisamente cambia davvero qualcosa? In fondo ho solo una percentuale più sfavorevole rispetto agli altri, ma anche per loro è la stessa cosa. Basta un colpo di sonno al volante, una distrazione mentre si attraversa, la sfortuna di vivere in un edificio instabile. E magari sarà così pure per me, solo si somma un altro fattore che io non posso, e non voglio, controllare.

Ed è bello non dover pianificare, pensare di avere una data di scadenza. Mi sono sempre voluto sentire libero, e questo non cambierà mai. Anzi, è come se avessi il respiro più profondo, e il sangue più bollente, le gambe più infaticabili. L’ho detto, nella vita ho vinto ed ho perso. Giocherò la mia partita fino alla fine.