Filippiche

Mi è successa una cosa davvero incredibile. Ero fuori dal balcone a fumare, immerso nei miei pensieri come al solito. Stavo pensando a quanto tempo sprechiamo in cose che non vogliamo davvero fare. Tipo lo zapping alla tv, o dover aspettare la fine della pubblicità su Internet, sorbirci code interminabili agli sportelli. Ancora più triste è dover studiare in facoltà che non sono quelle che avevamo sognato, o fare lavori in cui riceviamo misere gratificazioni rispetto a quelle che meritiamo, o vivere ancora con i genitori ed essere costretti a soffocare il nostro desiderio di indipendenza. Tanta gente dice che io sono fortunato a parlare così, ma è davvero questione di fortuna? Non scegliamo il luogo in cui nascere, eppure non ci è andata poi così male. Siamo stati abbastanza fortunati tutti. E siamo partiti tutti con le stesse prospettive di vita. Se non abbiamo quello che desideravamo dipende più dagli altri o dal nostro stesso impegno?

Tornando al discorso, mi è capitata una cosa buffa. Riflettevo sui tanti imbrogli di cui cadiamo vittima spesso, sulle nostre aspettative deluse. Ormai è una cosa sulla quale neppure ci soffermiamo. Anzi, siamo sorpresi profondamente di fronte ad una cosa che si rivela per come ce la aspettavamo effettivamente, piuttosto che sdegnarci se non si rivela tale. Piuttosto che la condanna del criminale, fa notizia l’elogio dell’eroe. Ci ritroviamo ad applaudire di fronte all’automobilista che si ferma prima delle strisce pedonali, al panino della McDonalds che è davvero delle dimensioni di quello della pubblicità, al poliziotto che non commette violenza, al ragazzo che potrebbe tradire il partner ma non lo fa. Siamo davvero a questi livelli, e ci ritagliamo una nostra etica per andare contro immigrati e omosessuali, perché il nuovo gusto dell’orrido ci detta questo.

Riprendendo il discorso iniziale, lo strano episodio. Ero lì, a provare a dare una definizione alla coscienza. Quante persone incontriamo, che ne hanno solo un’idea più che abbozzata, e quella bozza magari ci inganna anche, e ci rendiamo conto troppo tardi della falsità di chi avevamo di fronte. Mi sono chiesto se in fondo siano loro ad avere ragione. In fondo la coscienza non è altro che un mistero della scienza, un errore dell’evoluzione stessa. Quello che ci distingue dagli animali è lo straordinario sviluppo associativo di gesti, parole, lettere, numeri, odori, sapori. Ma quello che chiamiamo coscienza è puramente superfluo nelle azioni superiori che ci caratterizzano. Possiamo comporre opere grandiose in tante forme diverse, ma che significato pratico ha un giudizio morale che supervisioni tutto questo? Forse ha davvero ragione chi non la ascolta, la coscienza. Almeno è più vicino all’ultimo tassello corretto dell’evoluzione, lo stato animale.

Dunque, l’avvenimento. Osservavo lo scorrere del tempo. Quante cose riusciamo ancora a strappare al tempo e fare nostre, al di fuori della ruspa del tempo che distrugge e deforma. Ricordo ancora quando ero bambino, e chiesi a mia madre perché dovessi chiamare mio padre “papà” dal momento che avesse un nome proprio. Le suore, così gentili con un mostriciattolo iperattivo, che ce l’hanno messa tutta per risvegliare in me la fede. Il mio primo bacio, nel mio paesino di mare, con una ragazza di cui a malapena ricordo nome e tratti. Le tante botte che la gente è ben disposta a riservare a chi come me non è mai stato disposto a omologarsi al branco. Le delusioni, perché certe cose sono belle solo se tu le vedi tali, ed io ho sempre visto troppo bene nelle cose. Cosa ce ne facciamo di tante, minuscole cose che strappiamo al tempo sempre più raramente e non raccontiamo mai a nessuno perché non avrebbe senso?

Già, il tempo. Ne è passato fin troppo. La storia la racconterò un’altra volta.

Gli indifferenti, Paolo e Francesca

La premessa fondamentale è che non voglio passare per uno zitellone acido. Anzi, ho passato la maggior parte della mia vita con un impegno nella testa e non ho nessun rimpianto a proposito. La questione è sorta diversamente.

Correva l’anno 2014, quando diverse persone, incoraggiate paradossalmente dal mio essere privo di qualsiasi forma di empatia verso chi vuole mettersi un guinzaglio al collo e scodinzolare alla sola vista di chi non l’avesse cagato per tutta la giornata, mi scelsero come confidente privilegiato. Ora. Io sono stato sempre confidente fedele di chiunque mi abbia interpellato, ma nonostante cio’ non posso esimermi dall’aver notato due grandissime categorie di coppie fisse, intese come tutte rose e fiori all’apparenza ma che poi sputano spine appena se ne presenti l’occasione, che urtano il mio encefalo fin nel profondo.

La prima categoria è quella delle correnti alternate. Tremendamente diffusa. La riconoscerai (figlio mio sei nel 2014) dal fatto che mette lo stato impegnato/sposato/in procinto di accasarsi su Facebook. Fin qui tutto bene, il problema è che suddetto stato cambia almeno una volta al mese. E tu, ingenuo utente della compagnia di Zuckenberg, magari non noteresti nulla di strano se non fosse che vivendola più o meno dall’interno, voci dirette o meno ti avessero detto che “nomaèuncasinoioconquellononcitornobastahotuttodaguadagnarcicioènonhaicapitochedavantiallamiasfuriatatrattadaunesortazioneciceronianaèstatocompletamentezittoevabbèquindihovistocheavevoragioneedifronteaqueibeiaddominaliscolpitihodetttovabbèdaifacciamolapace”. Devo aggiungere qualcosa? Sono le coppie che stanno insieme perchè.. boh. Non ho altra spiegazione. E tantomeno loro. Lo credono amore, in realtà è una tempesta ormonale che in certi periodi li spinge ad accollarsi tremendamente e in altri a rompere temporaneamente. Io non ti consiglio di trovarti nelle vicinanze in entrambi i casi. Nel primo potrai trovarti a disagio nel veder loro fare i teneroni in pubblico, nel secondo nel veder loro fare i teneroni in pubblico dopo che magari avrai osato suggerire loro “Sì, ma se poi tornate inevitabilmente a litigare, a cosa serve ritornare insieme?”. E vai di disagio.

La seconda è quelli da coppia giovane. No, non di durata, di era di provenienza. Le fottutissime coppiette del Liceo. Oltre ad avere la loro esistenza, per quanto mi riguarda, la stessa credibilità dei ricercatori Oral B, ho la sventura di trovarle nel loro periodo di svolta. Ci sono quelle che partono per studiare nella stessa Città insieme appassionatamente e quelle che si dividono per cercare la loro fortuna separatamente “tanto amore sei la sola e l’unica e torneremo come le star a bere del Whisky al Roxy Bar”. Le prime? Sei fortunato a presentarti mentre stanno insieme. Le seconde? Guarda, lei è lì a far conoscenza con i tipi della sua palestra, lui è andato con gli amici più scatenati in discoteca. A far loro da spalla, eh. Ribadisco che parlo solo per esperienza personale, eh, magari sono io lo sfigato e sono più diffuse quelle altre, quelle che sono davvero insieme felicemente da anni e ti sbattono la loro felicità in faccia ogni cinque minuti, dal vivo, sui social o tramite telecinesi.

“Sei cinico e tremendamente di parte”, potranno dirmi molti. Sì, per carità. In questo mondo siamo di parte fin da quando facciamo colazione. Latte, tè, caffè, brioche, cornetto. “Non riesci a concepire una storia che duri per sempre”. No, stavolta no davvero. Ma trovo la cosa molto rara. Spero dal profondo del mio cuore di trovarne l’esempio perfetto e di poterne fare, un giorno, un insegnamento di vita. E la speranza non deve essere sottovalutata, è il sentimento più forte che potrebbe battere nel cuore di ogni persona. Ma concedetemi una cosa. Fatemi sguazzare nel mio cinismo senza ammorbarmi i coglioni, grazie.

Metamorfosi

Quando vivi lontano da casa, credo che la cosa più bella in assoluto sia conoscere persone con le quali altrimenti non avresti mai potuto avere a che fare. Certo, se ci tieni tanto all’Italiano è bello anche perdere la fastidiosa cadenza dialettale che ti inoculano sin dalla culla. Ma questa è un’altra questione. Tutte queste persone, estranei che per un motivo o per l’altro diventano volti amichevoli, hanno tutte una storia alle loro spalle. Spesso non ci fermiamo a pensarci, ma hanno anche loro avuto dei luoghi familiari, amici, amori, passatempi. E naturalmente non c’entreranno nulla o quasi con i nostri. E venire in contatto con queste persone ci rende diversi.

Magari ci consigliano gruppi formati da tamburellisti dello Sri Lanka che noi, impegnati a limonare cubiste con David Guetta in sottofondo, non avevamo mai neppure sentito nominare. E così, diventano il nostro gruppo preferito e la smettiamo di pompare nelle casse dello stereo della Ypsilon, in giro per il nostro paese di cinquanta abitanti, con i finestrini abbassati. Oppure ci mostrano applicazioni per cellulare che ci saranno utili durante quelle lezioni che ci fanno addormentare allagando l’aula con la bava della bocca, ai livelli delle piene del Nilo. O ci danno consigli su vestiti, abbigliamento, trucco, ai quali una volta superato il nostro orgoglio iniziale finiremo per dare una possibilità.

Forse è questo, più di ogni altra cosa, che mi rende felice di aver lasciato per gran parte dell’anno la mia terra. Vivere lontano dalle nostre radici ci fa rendere conto di quali davvero non possono, e mai dovranno, essere strappate, e di quali invece sono marce e futili. Sopra ogni cosa, inutile dirlo, ci fa rendere conto di chi ci starà accanto nonostante tutto. Magari non con la stessa frequenza, ma sempre con forza immutata. Perché solo ora scelgono noi, e scegliamo loro, tra tante altre amicizie che abbiamo stretto. Il confronto ci porta a renderci conto delle nostre debolezze, e correggerle, e dei nostri punti di forza, che saranno uno stimolo per gli altri. Ognuno a modo suo ha una caratteristica che trasmette agli altri e lo distingue tra loro.

Questa settimana un amico di un ragazzo che studia con me è venuto a trovarlo. Siamo andati a prendere una birra e mi ha detto “Sai, ti aveva presentato come un ragazzo che stima perché dici le cose in faccia e difendi sempre le cose in cui credi”. Wow. Io e lui non abbiamo un grandissimo rapporto, ma presentandomi così ad un suo amico, al suo mondo, mi ha riempito terribilmente il cuore di orgoglio. E in quel momento anche imbarazzare tantissimo.

Mettiamoci sempre in gioco. Conosciamo e facciamoci conoscere, per il meglio di quello che siamo, migliorando il peggio. E saremo sempre stimati in ogni parte del mondo. Possibilmente lontano da dove viviamo. Maledetti dialettismi.