La prima volta che incontrai il signore del Tempo fu nel 2046.
Ero in Polizia. Non me la cavavo male, avevo il giusto mix tra intuito e disciplina che mi aveva permesso di fare strada piuttosto velocemente. Non che non vedessi cose che mi facessero ancora accapponare la pelle. Giusto quel giorno ero stato in Tribunale per assistere a un processo, di un tipo che avevo arrestato per aver ammazzato la moglie. Non che ci volesse tanto intuito per un caso come quello, ma a quanto pare i giudici non ne avevano abbastanza perché lo giudicarono innocente, così all’uscita dal Tribunale il padre decise di piantargli una pallottola in testa. Piuttosto spiacevole, dovetti correre a casa a fare subito il bucato per ripulirmi i pezzi di cervella sparsi per il completo. Poi mi aprii una birra.
Proprio mentre mi gustavo il momento clou del film sul mio divano, lui entrò come se nulla fosse davanti ai miei occhi. Non mi sorpresi. Come ho detto me ne capitano di cose strane, come quando non riesco a ritrovare mai nei cassetti due calzini abbinati. Gli chiesi chi fosse. Il signore del Tempo, mi rispose. Preferisco gli Scottex, provai a sdrammatizzare. Mi disse che aveva il potere di farmi tornare indietro nel tempo, di rivivere delle fasi più felici della mia vita. Carino, dissi, te la cavi anche con i giochi di carte? Evidentemente non aveva anche il potere dell’umorismo, perché rimase in silenzio. Così, per rompere il momento di imbarazzo, lo assecondai.
Portami ai giorni dell’accademia. Ero forte, bello e con ancora tutti i capelli in testa. Il signore del Tempo si guadagnava il suo stipendio, ammesso che ne avesse uno, perché ripresi coscienza davvero nella mia stanza ai tempi dell’accademia, nel mio corpo vent’anni più giovane. Allora persino io rimasi sorpreso che tutto questo fosse reale, e mi misi a fumare senza muovere un muscolo, aspettando che sbucasse fuori una di quelle cose raccapriccianti che ti fanno capire di essere finito in un film horror. Come una femminista vegana con il ciclo.
A quanto pare non era il mio caso, perché dopo un pacchetto era cambiata solo l’aria, che era diventata una via di mezzo tra Milano e l’11 Settembre. Fu allora che iniziò la mia giornata da incubo. Ricordai di come fosse asfissiante dover eseguire alla lettera gli ordini, le punizioni e le fatiche fisiche che mi imponevano. Non avevo relazioni sociali, non che in futuro avrei brillato. Però almeno sarei stato libero di avere qualche donna occasionale e frequentare qualcuno di più stimolante di quegli scimmioni che non avrei mai più rivisto sulla mia strada. Quando la sera rividi il signore del Tempo, quindi, gli chiesi di portarmi ai tempi del liceo.
Di sicuro avevo perso in bellezza. Non ricordavo proprio che avessi più crateri della Luna sulla faccia, né che fossi abile a farmi la barba quanto un presidente americano a mantenere la pace. Non riuscivo proprio a inserirmi nei discorsi musicali, dato che ormai ero abbastanza maturo da rendermi conto che la musica che ascoltavo fosse imbarazzante. Le ragazze mi scansavano come un pirata non interpretato da Johnny Depp o Orlando Bloom, e inutile dire che la mia cultura nello specifico mi aveva abbandonato da un po’. Così ci riprovai, e volli tornare bambino.
Mi resi conto del perché odiassi i bambini. Stupidi, superficiali e sempre allegri. In ordine crescente di gravità. Dopo altri tentativi di tornare indietro, ero tornato ad attaccarmi al seno di mia madre per restare in vita. Approfittando di una sua assenza in modo da non sembrare un ladro di neonati (sì, il signore del Tempo era nero), tornò da me e mi chiese un responso finale.
Solo allora maturai una grande consapevolezza. Ovvero che ancora più che dalla speranza nel futuro siamo ossessionati dalla nostalgia del passato. Mi venne in mente che nel mio presente c’erano i nostalgici della Lega, ai tempi della Lega quelli del Duce o della monarchia, ai tempi del Duce e della monarchia quelli dell’Impero Romano. Ripensai a quante volte mi mancava mio padre anche se era un alcolizzato che gonfiava mia madre come i soldati coi prigionieri in Iraq. E quante ex ragazze mi erano mancate, quelle che in fin dei conti erano state frigide, schive, bugiarde o semplicemente non mi erano mai piaciute davvero.
Ho realizzato che non si stava davvero meglio quando si stava peggio. E io con la mia birrozza sul divano non stavo affatto male. Portami a casa, gli provai a dire con la lallazione.