DE BREVITATE VITAE PARTE III

La prima volta che incontrai il signore del Tempo fu nel 2046.

Ero in Polizia. Non me la cavavo male, avevo il giusto mix tra intuito e disciplina che mi aveva permesso di fare strada piuttosto velocemente. Non che non vedessi cose che mi facessero ancora accapponare la pelle. Giusto quel giorno ero stato in Tribunale per assistere a un processo, di un tipo che avevo arrestato per aver ammazzato la moglie. Non che ci volesse tanto intuito per un caso come quello, ma a quanto pare i giudici non ne avevano abbastanza perché lo giudicarono innocente, così all’uscita dal Tribunale il padre decise di piantargli una pallottola in testa. Piuttosto spiacevole, dovetti correre a casa a fare subito il bucato per ripulirmi i pezzi di cervella sparsi per il completo. Poi mi aprii una birra.

Proprio mentre mi gustavo il momento clou del film sul mio divano, lui entrò come se nulla fosse davanti ai miei occhi. Non mi sorpresi. Come ho detto me ne capitano di cose strane, come quando non riesco a ritrovare mai nei cassetti due calzini abbinati. Gli chiesi chi fosse. Il signore del Tempo, mi rispose. Preferisco gli Scottex, provai a sdrammatizzare. Mi disse che aveva il potere di farmi tornare indietro nel tempo, di rivivere delle fasi più felici della mia vita. Carino, dissi, te la cavi anche con i giochi di carte? Evidentemente non aveva anche il potere dell’umorismo, perché rimase in silenzio. Così, per rompere il momento di imbarazzo, lo assecondai.

Portami ai giorni dell’accademia. Ero forte, bello e con ancora tutti i capelli in testa. Il signore del Tempo si guadagnava il suo stipendio, ammesso che ne avesse uno, perché ripresi coscienza davvero nella mia stanza ai tempi dell’accademia, nel mio corpo vent’anni più giovane. Allora persino io rimasi sorpreso che tutto questo fosse reale, e mi misi a fumare senza muovere un muscolo, aspettando che sbucasse fuori una di quelle cose raccapriccianti che ti fanno capire di essere finito in un film horror. Come una femminista vegana con il ciclo.

A quanto pare non era il mio caso, perché dopo un pacchetto era cambiata solo l’aria, che era diventata una via di mezzo tra Milano e l’11 Settembre. Fu allora che iniziò la mia giornata da incubo. Ricordai di come fosse asfissiante dover eseguire alla lettera gli ordini, le punizioni e le fatiche fisiche che mi imponevano. Non avevo relazioni sociali, non che in futuro avrei brillato. Però almeno sarei stato libero di avere qualche donna occasionale e frequentare qualcuno di più stimolante di quegli scimmioni che non avrei mai più rivisto sulla mia strada. Quando la sera rividi il signore del Tempo, quindi, gli chiesi di portarmi ai tempi del liceo.

Di sicuro avevo perso in bellezza. Non ricordavo proprio che avessi più crateri della Luna sulla faccia, né che fossi abile a farmi la barba quanto un presidente americano a mantenere la pace. Non riuscivo proprio a inserirmi nei discorsi musicali, dato che ormai ero abbastanza maturo da rendermi conto che la musica che ascoltavo fosse imbarazzante. Le ragazze mi scansavano come un pirata non interpretato da Johnny Depp o Orlando Bloom, e inutile dire che la mia cultura nello specifico mi aveva abbandonato da un po’. Così ci riprovai, e volli tornare bambino.

Mi resi conto del perché odiassi i bambini. Stupidi, superficiali e sempre allegri. In ordine crescente di gravità. Dopo altri tentativi di tornare indietro, ero tornato ad attaccarmi al seno di mia madre per restare in vita. Approfittando di una sua assenza in modo da non sembrare un ladro di neonati (sì, il signore del Tempo era nero), tornò da me e mi chiese un responso finale.

Solo allora maturai una grande consapevolezza. Ovvero che ancora più che dalla speranza nel futuro siamo ossessionati dalla nostalgia del passato. Mi venne in mente che nel mio presente c’erano i nostalgici della Lega, ai tempi della Lega quelli del Duce o della monarchia, ai tempi del Duce e della monarchia quelli dell’Impero Romano. Ripensai a quante volte mi mancava mio padre anche se era un alcolizzato che gonfiava mia madre come i soldati coi prigionieri in Iraq. E quante ex ragazze mi erano mancate, quelle che in fin dei conti erano state frigide, schive, bugiarde o semplicemente non mi erano mai piaciute davvero.

Ho realizzato che non si stava davvero meglio quando si stava peggio. E io con la mia birrozza sul divano non stavo affatto male. Portami a casa, gli provai a dire con la lallazione.

Giambo

Questa è per te che esci con quella che hai trovato su Tinder ed è sexy la metà di quello che sembrava in foto. Ma comunque magari hai pagato la benzina per andare da lei, per galanteria le hai offerto il cocktail quindi ora non puoi tirarti indietro anche se è la copia invecchiata male di tutto cio’ che Photoshop potrebbe partorire. Te la sei cercata amico.

Questa è per te che pensi di avere la storia d’amore della tua vita con persone che cercano ogni pretesto per stare lontane da te. Palestra, amici, viaggi. Ops. Magari sei un po’ cornuta e non dovresti nutrirci tante speranze sul fatto che lui sia il Principe Azzurro delle favole.

Questa è per te che rinunci ad amici, conoscenti e comitive perché secondo te il Principe Azzurro l’hai trovato, solo che a lui non va di uscire dato che gli offri già vitto, alloggio e pernottamento (questo era in senso ambiguo se non lo hai capito).

Questa è per te che pensavi che una serata con le amiche senza il tuo ragazzo non ti avrebbe mai spinto a tradirlo, nemmeno psicologicamente. E poi ti sei trovata davanti casualmente tutto quello a cui potevi ambire, anche per colpa dell’alcol che ti aveva abbassato le pretese. E hai scelto il male minore tra tradimento e rimorso di una vita.

Questo è per te che ti credi superiore a tutti perché ti tieni lontano da loro e hai avuto tutti i loro difetti. Perché ti sei buttato, ti sei illuso e ti sei recluso. Per te che ti senti giudice e invece sei il giudicato.

Ab Urbe Condita Libri

Cosa poi avrò fatto di così speciale?

Sarò uscito da un mondo di demoni che continuamente mi sussurravano nelle orecchie. E poi spintoni, strattoni, minacce, degne di uno di quei tanti film horror che ho sempre avuto troppa paura di fondo per guardare.

E facce nuove, facce diffidenti, facce pensose, facce scrutatrici. Come se fossi un quadro nuovo appeso in un museo che era lì da secoli. Cosa ci faceva un quadro di arte moderna di fronte alla Gioconda? Difficile dirlo. Avrei potuto aprire le labbra per giustificarmi ma io labbra non ne avevo, e qualsiasi giustificazione io avessi dato sarebbe risuonata insulsa, quindi scelsi di non difendermi.

Scelsi quegli amici, quella vita, quelle trasgressioni, quella personalità. Scelsi di dire il giusto nei giusti tempi, scelsi di essere gentile e diverso, scelsi di essere ghiaccio e fiamma, scelsi di essere un ragazzo. Un ragazzo con ferite, un ragazzo con debiti, un ragazzo da poter amare o da cui essere confusi. Scelsi di essere un ragazzo rispetto al quale non poter essere indifferenti.

Trovai compagnia, trovai conforto, trovai amore. Già. Forse la compagnia non era quella attenta a me mentre io inciampavo e dicevo di andare avanti, che mi lasciasse lì dato che mi ero slogato la caviglia. Forse il conforto non era quello di mia madre, che mi abbracciava in una camera in fiamme con l’aria che bruciava nelle mie narici, ripetendomi che tutto sarebbe andato bene. E l’amore? Non c’era posto per Dante e Beatrice, Leopardi e Silvia, Kurt e Courtney. Magari c’era posto per me che avevo capito quale fosse il reale posto di queste cose nella mia vita.

Eppure sono qui. Le bandiere nere abbassano le braccia destre, le rosse ammainano le bandiere. Io, eternamente in quel timido pacifico guscio anonimo, ho vinto. Sono arrivato a capire anche la vuotezza della vittoria. La vittoria di coloro che si vantavano dei soprusi, della superiorità e della legge del branco. Io non esulto. Perché già da tempo avevo capito che fosse una esultanza fine a se stessa.

Io ho vinto.

ELEGIE PARTE III

Cara Ilenia,

quando leggerai questa lettera io sarò già lontano. Non so dire se un paio di angoli, qualche quartiere o delle città. So che sarò abbastanza lontano perché non possa più agire quell’elastico che mi riporta sui miei passi quando una parte di me pensa che io stia facendo una pessima scelta.

La verità è che non so davvero perché sono andato via. Stamattina mi sono svegliato per la mia solita inquietudine, quella strana sensazione che sento senza un motivo. E’ il prurito che avvertiamo quando vediamo un insetto, è l’imbarazzo che proviamo quando vediamo due persone baciarsi. La prima cosa che ho fatto è stata girarmi verso di te a guardarti. Eri bellissima, con i raggi del sole a pizzicarti le guance roride di sudore. Non mi ero mai sentito così felice in vita mia.

Avevo la sensazione, per una volta nella vita, di essere nel posto giusto al momento giusto. Che ogni scelta, ogni errore, ogni rissa da bar, alla fine fosse destinata ad indirizzarmi precisamente in quel letto. Perciò ho deciso di prendere in spalla il mio zaino e rimettermi in viaggio.

Perché ho pensato che la Terra gira, e quindi anche il mio posto nel mondo. Come avrei mai potuto provare una gioia più grande di quella? Avrei solo rovinato tutto come al solito. Mi sarei costruito una gabbia in quel punto pur di non spostarmi mai più. Avrei guardato sotto il tappeto e ci avrei trovato della polvere. Avrei voluto arredarlo con mobili nuovi, bianchi e moderni. Alla fine non sarebbe stato più il mio posto nel mondo e sarei stato triste.

O magari eri tu quel posto. La ragazza bionda che è venuta una sera a chiedermi da accendere. Non saprò mai se l’avessi fatto per provarci, ma di sicuro sei stata brava in ogni caso. Sei una delle persone più brillanti che io abbia mai incontrato, con così tanti interessi e mai a corto di argomenti. Ma mai in modo monotono e pesante, in realtà è come se tu mi rubassi le parole, e parlassi per entrambi. Così che a me non resti altro che stare in silenzio a prendere fiato per te. Più tu parlavi, più a restare senza fiato ero io.

Ma cosa sarebbe successo domani? Saremmo tornati alla vita reale, quella in cui non puoi risolvere i tuoi problemi con un’alzata di spalle. Magari non sarei piaciuto alle tue amiche. Magari avremmo litigato su dove andare a mangiare. Magari avrei notato un’asimmetria sul tuo volto, e tu delle rughe sul mio. Magari. La vita è piena di magari. E quando si verificano ci si lascia andare come dei palloncini ad elio in una piccola stanza, così da potersi riprendere, e poi lasciare, a piacimento. Ho preferito amarci così. Un attimo e per sempre. Un ricordo di perfezione che rimarrà così per sempre, e che nessuno di noi potrà mai cambiare e sminuire.

Vado, non so dove né come. E l’accendino lo lascio a te, così almeno per un po’ non abborderai ragazzi più carini e simpatici di me. E ricorda che non è colpa tua se la vita non ti è andata come avrebbe dovuto. Capita raramente che le cose vadano come dovrebbero. Io ricorderò sempre il giorno in cui è successo.

EPISTULAE MORALES AD LUCILIUM PARTE IV

Sai Lucilio,

Nella mia vita, e non lo penseresti mai a vedermi, ho avuto modo di avere diverse relazioni di qualsiasi genere. Ma, si sa, se ti citassi quelle di poco conto ti genererei noia o al più invidia. Pertanto mi atterrò a quelle importanti, e riguardo queste ti parlerò delle tre tipologie di persone cui ti troverai davanti.

Devo premettere che per me l’amore, se vogliamo usare questa parola che per me è molto labile, non è fatto di cioccolatini, rose, viaggi e cene. Non sono tipo da libri di Federico Moccia o Jane Austen. Bensì mi piacciono molto di più le teorie sulle realtà parallele o sul gatto di Schrodinger. Pertanto non ti sorprenderà se ti dico che per me avere a cuore una persona è più avere il coraggio di far collimare due mondi. E seguimi se sei saltato subito alle conclusioni e in questo momento mi stai dando del banale. Ti ricrederai subito.

Quello che voglio dire è che il discorso non è semplice come è venuto in mente a te. Se due mondi sono tra loro poco complementari rimarranno aridi e non potranno mai completarsi. Ok, questa era la parte facile. Ma poniamo il caso che questi due mondi siano entrambi così pieni di cose in comune ed alla fine si unissero. Cosa genererebbe cio’? Io dico tanto peso da far collassare quel sistema che si è creato.

Per questo secondo me ci sono TRE tipi di persone che potrai incontrare in vita tua. Quelle sbagliate, le anime gemelle, e quelle giuste.

Quelle sbagliate. Beh non ce n’è molto bisogno che te ne parli. Se sei una persona a modo sono quelle brutte, che puzzano e non ti giri due volte a guardarle. Se non sei una persona a modo sono quelle belle, che profumano e non si gireranno due volte a guardare te. A parte il discorso semplicistico, sai cosa intendo. Se anche proverete a parlare, tu dirai Nord e quella Sud, sentirete la distanza tra voi, e addio.

Ora. Perché voglio parlarti prima delle anime gemelle? Perché non sono uno scrittore di film di principesse Disney. E di anime gemelle ne ho conosciute, e amate, tante. Sono quelle con cui hai tanti, troppi, interessi in comune, parleresti tutto il giorno, magari finite anche l’uno la frase dell’altra. E dov’è il problema, mi chiederai tu. Che alla lunga il vostro bellissimo mondo di cose in comune muore di fame. Non scherzo, immagina che tu e questa tizia vi mettiate d’accordo: “Facciamo questo mondo insieme. Porto i miei trecentocinquanta palazzi rossi che contengono altrettante famiglie a cui piace uovo e pancetta a colazione, lasagne a pranzo e pizza a cena”. E lei: “Oh, fantastico, io porterò i miei trecentocinquanta palazzi ripieni di altrettante famiglie che adorano le stesse cose”. Ora, a parte il fatto che in un mondo del genere le persone morirebbero alla veneranda età di 25 anni di diabete, alla lunga le risorse per soddisfare i gusti di entrambi si esaurirebbero. E’ così che non riescono a convivere due mondi troppo uguali, per l’avere l’unico difetto di essere uguali. Non sono capaci di fare passi avanti o indietro quando necessario se l’altro fa un passo indietro o avanti, come in un folle valzer.

Quindi le persone giuste. Chi sono? A trovarle. Di anime gemelle, mi voglia bene e non si rivolti nella tomba il caro Walt, ce ne sono tante. Di queste ce ne sono solo una manciata. Perché di anime gemelle ne saprai trovare davvero ovunque, di persone giuste un paio se sei fortunato. Sono quelle che dormono poco la notte di per sé se tu russi. Sono quelle che rispondono solo se hanno qualcosa di intelligente da dire se a te piace parlare. Sono quelle a cui piace guidare se tu ti ubriachi con un Angelo Azzurro e non pretendono di parlarti fino alla mattina dopo, né ti faranno la morale. Insomma, alla fine un po’ finiranno per annoiarti. E’ come il motivo per cui la tua tendenza sarà sempre allontanarti da tua madre. Perché anche tua madre rispetta tutti i requisiti della persona giusta ma non vuoi che sia lei la persona giusta.

Quindi, Lucilio mio, avrai capito che risposte non te ne posso dare. Però, non cercando più nessuna delle tre categorie ho tanto tempo libero.

IL LIBER PARTE VI

Ho pensato di venirti a parlare, sai.

L’ho visto che bruciavano i nostri sguardi,

ne ho sentito l’odore di gomma e benzina.

 

Li hanno visti i miei amici che mi riempivano di gomitate,

e anche le tue amiche che si stringevano ridacchiando intorno a te,

le mani davanti alla bocca.

 

Ma poi ho visto il futuro,

come i santoni sulle vette innevate

e i cialtroni in televisione.

 

Ho visto gli imbarazzi dei primi momenti,

le uscite di nascosto dagli amici,

la monotonia che cresceva,

le cene abbozzate in serate stanche,

i like sui social per pagarci l’autostima,

i viaggi per non sentirci in una gabbia,

le bugie per non ricominciare da capo coi soliti discorsi,

i sorrisi ai parenti per sembrare innocenti,

la censura per sfuggire alla nostra coscienza,

i litigi per mentire alle nostre scelte.

 

Di quello ero stanco, davvero.

 

Quindi scusami se ho ignorato la fiamma.

 

Non volevo essere falena della tua perfezione.

IDILLI

Anche se avrebbe voluto, non riusciva proprio a passare inosservata ovunque si trovasse. Come la figlia di Birdman. La sua presenza era un qualcosa fuori posto, come una posata dimenticata su una lunga tavolata vuota. Potevi avvertire come quel leggero odore umido che precede la tempesta.

Probabilmente perché la tempesta la portava dentro. Come quella di Khalil Gibran, quella da cui esci come una persona diversa. Ma lei ne aveva attraversate di tempeste, e sapeva che ce ne sarebbero state altre, non le temeva più già da un pezzo. Enon sapeva precisamente come era diventata dopo esserne uscita, ma era certa di non voler tornare indietro.

Quella probabilmente era la sua forza. Quella che vedi nei film americani, in quelle madri costrette a badare a un figlio in un immenso ranch dopo essere state abbandonate dal marito. Un forcone in una mano, un fucile nell’altra. O la sfortunata Maggie di “Love and Other Drugs”, che preferisce restare sola piuttosto che doversi aggrappare agli altri.

Eppure non si poteva dire che fosse pessimista. Piuttosto in fondo aveva fatto della disillusione la sua corazza. Come se non avere speranze potesse evitarle false aspettative, e quindi il dolore che ne consegue. Era arrivata al finale di un episodio di Black Mirror, con le promesse luminose che alla fine avevano portato solo a risvolti negativi.

Molto meglio aspettarsi il meglio, sì, ma prepararsi per il peggio. Un fondo di positività tutto sommato, plasmato per essere applicato a un mondo che puntualmente delude. Un lasciare comunque una luce accesa quando si esce di casa, per ritrovare la via se ci si perde tra le strade della città che non si conosce.

Già, andarsene. Cambiare. Uno dei più grossi dilemmi che ci si possano porre. “Should I stay or should I go?” cantavano i Clash. Cosa ci aspetta dietro l’angolo? Al bivio bisogna andare a destra o sinistra? Rimanere se stessi o adattarsi a quello che c’è intorno? Quella indecisione che è come una puntura di insetto, ci si può non fare caso ma al primo contatto torna a manifestarsi.

E di fronte ai mille sbagli aveva scelto di porsi con l’ironia. Verso sé e verso tutti, come la brillante Sole di “500 days of Summer”, diretta e impulsiva. Lanciarsi nelle situazioni prima di essere paralizzati dalla paura, o averci pensato troppo. Come un personaggio uscito da un film di Woody Allen, cinico ma sognatore, pratico e romantico al tempo stesso.

Anche nei monologhi, il più delle volte interiori. Una riflessività che può essere croce e delizia. Come nella ricostruzione della morte di Eschilo, a cui avevano predetto che sarebbe morto schiacciato da un tetto. Da allora evitava gli edifici chiusi, peccato che un’aquila scambiò la sua testa per una roccia, e nel tentativo di rompere il guscio di una tartaruga per cibarsene gliela fece cadere in testa. E non era forse quello il tetto della tartaruga?

Già, farsi troppi dilemmi è non godersi la propria vita, farsene pochi sprecarla. A che serve passare i propri giorni a “misurare la vita con cucchiaini da caffé” come scrisse Eliot se non si sa dove si sta andando? Per questo tendeva a rifugiarsi nella malinconia a volte, a guardarsi dietro per accertarsi che non le fosse caduto nulla dalle tasche. Non proprio una malinconia da “Wish you were here” dei Pink Floyd. Più una “Yesterday”, The Beatles.

APOKOLOKYNTOSIS PARTE II

Erano mesi ormai che ero prigioniero del gigante. Era alto come una montagna. Il suo volto, impossibile datarlo, aveva occhi neri profondi come l’abisso, sotto delle folte sopracciglia corvine. La sua barba era selvaggia e crespa, a contornare una bocca enorme, piena di denti aguzzi e disallineati. Le guance erano sempre gonfie e rosse per la furia, i capelli lunghi e scomposti, come dei rami pendenti da un albero incolto. Il suo corpo statuario, composto da fibre muscolari resistenti come cavi metallici e ossa spesse quanto lastre di granito. Le mani affilati artigli dalla presa incrollabile. Nel suo sguardo bruciava una fiamma terrorizzante, che mi riversava addosso appena poteva.

“Perché alzarti dal letto per fare qualcosa? Fallirai anche questa volta” mi tuonava addosso. Quante volte ho fallito, fallisco, fallirò. Magari prendo sottogamba delle situazioni, oppure mi rivelo più debole del previsto, infine crollo. Quanto avrei voluto essere sempre all’altezza delle aspettative, essere davvero meritevole dei meriti che mi attribuiscono, non avere mai quei comportamenti che sono il primo a criticare. Invece no, anche io sono debole e sbaglio, e ogni volta leggo la delusione negli occhi di chi capisce che non sono come credevano che io fossi, che già di per se’ è meno di come io stesso vorrei essere, e questo è tutto dire.

“Perché fidarti delle persone? Ti tradiranno tutte alla fine” mi sussurrava malvagio. Ho dato tutto me stesso a chi credevo lo meritasse, mille e più volte. Poi mi sono sempre trovato porte chiuse in faccia da chi mi ha usato come un fazzoletto per quando piangeva, come un caffé per tenersi attivi. Ma una volta finita la mia funzione non servivo più a molto. Dovrei andare a reclamare un premio da queste persone, a cercare il loro sguardo di riconoscenza? Non sono fatto così, mai lo sarò. Mi sono illuso fin troppo a lungo di poter non essere un lupo solitario, ma la verità è che è l’unica vita che mi si addice non sapendo far parte di un gregge.

“Perché assecondare i tuoi sentimenti? Ricevi solo delusioni” mi urlava arrogante. Ho fatto vedere parti di me che nascondo persino a me stesso a persone a cui è sempre scivolato addosso. Come se fosse la normalità farlo, come se volessi essere un personaggio di un reality show nella vita reale. E invece ero solo reale. Ero solo quello che mi accusano di non essere, spontaneo e serio ogni tanto. E ho ricevuto critiche e abbandoni, perché non è così che la penso io quindi io ho ragione, tu torto e io continuo con la mia vita e farò finta che tu non abbia mai fatto parte della mia.

Dopo mesi, quel giorno, decisi di non essere più prigioniero del gigante. Ricordo la luce del sole sul mio viso, calorosa come la carezza di una madre. Ricordo l’aria che soffiava sul mio viso, che mi indicava la libertà a un passo di distanza. Mi alzai in piedi. Guardai il gigante negli occhi e gli pronunciai quella che sarebbe stata la mia ultima frase per lui.

“Ti ricordavo più alto”

Metamorfosi parte II

Il cambiamento racchiude in sé tutto il brutto ed insieme il bello della vita. Rotazione terrestre, astri, stagioni. Persone. Tutto è in continuo movimento, e il più delle volte se non ci si ferma a rifletterci su neppure ci si accorge di aver lasciato dietro qualcosa ed accolto qualcos’altro. Da studente fuorisede un buon metodo assoluto per quantificare il tempo trascorso lontano da casa sono i miei gatti. Generazione dopo generazione, se ne sono succeduti tanti da confondermi tremendamente a pensarci adesso, eppure quando torno capisco da quanto mancavo in base a quali ci sono e quanto sono cresciuti .

Ovviamente il tema non è neppure lontanamente questo, ma mi hanno detto che i gattini carini e coccolosi attirano il pubblico, quindi in qualche modo ce li ho messi di mezzo. Mi sono reso conto di quanto, dopo un anno col freno a mano tirato, la mia vita abbia ricominciato a correre nel giro di qualche mese. Quei batuffoli sono cresciuti solo di qualche centimetro, eppure sento tante esperienze in più ad appesantirmi le spalle. Soprattutto, anche se sono stato da sempre molto sospettoso sulle persone, ho confermato l’idea di averci sempre visto giusto.

Non fidarsi è meglio è una scuola di pensiero che ho sempre adottato, almeno da quando ho scoperto di non essere il millesimo visitatore che avrebbe vinto un iPhone 4. Eppure nel profondo mi è sempre piaciuto amare le persone. In modi diversi, eppure sempre con tutto me stesso. Ho sempre preferito un sorriso altrui che la mia comodità, anche a costo di avere la schiena a pezzi e le gambe tremanti. Sono sempre stato un po’ bambino, anche se non direi di essere proprio la persona più innocente di questo mondo. Eppure ho spesso preferito coprirmi gli occhi davanti agli aspetti negativi di una persona pur di esaltare quelli positivi, e le ho dato quanto potevo.

Così ultimamente mi hanno dovuto aprire gli occhi quasi con la forza per farmi notare degli atteggiamenti da parte di persone cui non ho mai fatto del male, né potrebbero darmi una ragione per comportarsi in maniera sleale con me. E il lato peggiore della cosa è che purtroppo, essendo fatto in un modo mio tutto particolare, in fin dei conti non cambierò mai. Sono caduto così tante volte dalle scale, nonostante i miei genitori mi ripetessero di non correre, che mi sorprende di saper fare le addizioni a due cifre. I bambini non imparano davvero, al massimo si adattano, si evolvono, e sarò costretto a fare anch’io questa fine. Avere sempre più i piedi di piombo, finché temo che un giorno non mi muoverò più, ma è l’unico modo per avere una corazza dalle delusioni.

L’altro lato della medaglia però compensa abbondantemente questi aghi nel cuore. Perché è rarissimo, ma ogni tanto conosco, e riconosco, persone come me. Persone buone, di quella bontà che si legge negli occhi. Non santi, non volontari o donatori. Ma dirette e positive, nonostante siano state ferite dalla vita. Quelle che ti trasmettono un vero senso di benessere, medicine per lo spirito. E così magari il bimbo nel cortile non è più solo, e anche in un mondo di grandi giocare può essere bello.